Chiesa Del Sacro Cuore Viareggio - 1966 / 1975
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1971 - POLITTICO EUCARESTIA tempera su tavola |
DESCRIZIONE DEL POLITTICO
1) PANNELLO DI SINISTRA
Fratello è l’infermo da assistere2) PANNELO CENTRALE
Cristo distribuisce l’Eucarestia , solo un bianco mantello lo stacca dagli altri.3) PANNELLO DI DESTRA
Fratello è il povero da aiutare4) LUNOTTO SUPERIORE
Scambio del Calice , simbolo EucaristicoVENGONO RIPORTATI ALCUNI ARTICOLI
1) PANNELLO DI SINISTRA
Fratello è l’infermo da assistere2) PANNELO CENTRALE
Cristo distribuisce l’Eucarestia , solo un bianco mantello lo stacca dagli altri.3) PANNELLO DI DESTRA
Fratello è il povero da aiutare4) LUNOTTO SUPERIORE
Scambio del Calice , simbolo EucaristicoVENGONO RIPORTATI ALCUNI ARTICOLI
1 maggio 1971 IL TIRRENONELLA SOLITUDINE DELL’APPENNINO STA NASCENDO
UN’OPERA di GRANDE INTERESSE
MASSIMO MICHELI PITTORE “SACRO”
Nostro servizio di Carlo Alberto Di Grazia
S. Marcello Pistoiese, aprile.
Tra le montagne del nostro Appennino, arroccato in solitudine quasi come gli eremiti di un tempo, uno dei pittori toscani più giovani e più affermati, Massimo Micheli, sta cercando da otto mesi di rappresentare in chiave moderna e viva l’eterno mistero di Cristo. L’opera, un polittico su tavola, copre oltre dodici metri quadrati di superficie ed è destinato alla chiesa dell’istituto che accoglie i vecchi a Viareggio; ormai è alle ultime battute e sarà presto inaugurato.
L’arte sacra, che era stata per secoli al centro degli interessi culturali e che poi era scomparsa quasi del tutto, sommersa nel rivolgimento spirituale, verificatori dall’Illuminismo in poi, sta facendo di nuovo la sua comparsa, timidamente, qua e là; e cerca di dare, nel rinnovato interesse di oggi per le cose religiose, un volto moderno alla fede di sempre.
Perciò appare interessante, sia sotto il profilo artistico sia sotto l’aspetto spirituale, la fatica compiuta da Massimo Micheli; ed è notevole l’equilibrio raggiunto. Da un lato c’era la necessità avvertita di abbattere i vecchi moduli di narrazione, abbandonando la via del falso misticismo e della retorica che troppo spesso s’indulge in questi casi; e dall’altro c’era la tentazione, peraltro respinta, di parlare un linguaggio totalmente diverso, sì, ma anche incomprensibile o per alcuni versi, irritante. Il pericolo, in questo genere di opere, è proprio quello di ricalcare, accentuandoli in senso negativo, i passi compiuti nel passato e non più ripetibili oggi, oppure, per converso, di battere una strada d’avanguardia, che stride pesantemente con i temi trattati.
Ebbene: il Micheli ha superato brillantemente questi scogli e ha creato un’opera sobria, ricca di umanità e di potenza. Il Cristo che campeggia nel pannello centrale mentre distribuisce a una folla di contadini il pane dell’eucarestia è uno di noi, vive nel nostro tempo; soltanto un bianco mantello lo stacca dagli altri, gli dà un alone particolare, ricorda a chi guarda che quell’uomo è simile e al tempo stesso diverso da tutti.
Nei due pannelli laterali è ripreso il tema della donazione eucaristica come invito ad aiutare il prossimo rispettivamente rappresentato da un povero e da un infermo. Infine, nella lunetta superiore c’è lo scambio del calice, altro simbolo eucaristico.
Su tutto campeggiano le figure, una folla di persone che mentre fanno da contorno spiccano nell’insieme della composizione, quasi a porre l’accento il significato corale che ha il messaggio di Cristo e la sua applicazione da parte degli uomini. Sono figure che prorompono con forza, con impeto, col desiderio, diremmo, di farsi conoscere, di raccontare ciascuna una sua storia. E tute, benché non abbiano niente in sé di religioso in senso tradizionale, benché appaiano uguali a noi, alle persone che vediamo intorno a noi, tutte, dicevo, hanno una loro “sacralità”, sono degne dell’altare
La composizione è dunque unitaria anche in questo senso, per l’atmosfera naturale e sacra, insieme che vi si respira. Il colore contribuisce a infondere questo “tono” tutto particolare. Le gialle sfumature del pannello centrale vi danno il sapore del grano quand’è mature, con un potente richiamo alla terra, alla madre terra: così come il contrasto fra la camicia rossa quanto il sangue e il mantello bianco del Cristo suggeriscono, anche visivamente, la missione di sacrificio e di pace. Negli altri pannelli, infine, colori cupi o calmi pongono l’accento armoniosamente l’atteggiamento di donazione, di speranza, di dolore che le figure esprimono.
Insomma, Massimo Micheli ha compiuto un’opera che indubbiamente è destinata a lasciare il suo segno; e che si fa ammirare anche da chi non è interessato al fenomeno religioso, proprio come le opere più belle della tradizione sacra italiana.
13 giugno 1971 LA NAZIONENELLA CHIESA DEL SACRO CUORE BENEDIZIONE DEL POLITTICO
AVRA’ LUOGO STAMATTINA ALLE UNDICI DOPO LA MESSA CELEBRATA DA MONSIGNORE SIVIERI
L’OPERA DODICI METRI di SUPERFICIE, E’ DEL PITTORE MASSIMO MICHELI
UN’OPERA di GRANDE INTERESSE
MASSIMO MICHELI PITTORE “SACRO”
Nostro servizio di Carlo Alberto Di Grazia
S. Marcello Pistoiese, aprile.
Tra le montagne del nostro Appennino, arroccato in solitudine quasi come gli eremiti di un tempo, uno dei pittori toscani più giovani e più affermati, Massimo Micheli, sta cercando da otto mesi di rappresentare in chiave moderna e viva l’eterno mistero di Cristo. L’opera, un polittico su tavola, copre oltre dodici metri quadrati di superficie ed è destinato alla chiesa dell’istituto che accoglie i vecchi a Viareggio; ormai è alle ultime battute e sarà presto inaugurato.
L’arte sacra, che era stata per secoli al centro degli interessi culturali e che poi era scomparsa quasi del tutto, sommersa nel rivolgimento spirituale, verificatori dall’Illuminismo in poi, sta facendo di nuovo la sua comparsa, timidamente, qua e là; e cerca di dare, nel rinnovato interesse di oggi per le cose religiose, un volto moderno alla fede di sempre.
Perciò appare interessante, sia sotto il profilo artistico sia sotto l’aspetto spirituale, la fatica compiuta da Massimo Micheli; ed è notevole l’equilibrio raggiunto. Da un lato c’era la necessità avvertita di abbattere i vecchi moduli di narrazione, abbandonando la via del falso misticismo e della retorica che troppo spesso s’indulge in questi casi; e dall’altro c’era la tentazione, peraltro respinta, di parlare un linguaggio totalmente diverso, sì, ma anche incomprensibile o per alcuni versi, irritante. Il pericolo, in questo genere di opere, è proprio quello di ricalcare, accentuandoli in senso negativo, i passi compiuti nel passato e non più ripetibili oggi, oppure, per converso, di battere una strada d’avanguardia, che stride pesantemente con i temi trattati.
Ebbene: il Micheli ha superato brillantemente questi scogli e ha creato un’opera sobria, ricca di umanità e di potenza. Il Cristo che campeggia nel pannello centrale mentre distribuisce a una folla di contadini il pane dell’eucarestia è uno di noi, vive nel nostro tempo; soltanto un bianco mantello lo stacca dagli altri, gli dà un alone particolare, ricorda a chi guarda che quell’uomo è simile e al tempo stesso diverso da tutti.
Nei due pannelli laterali è ripreso il tema della donazione eucaristica come invito ad aiutare il prossimo rispettivamente rappresentato da un povero e da un infermo. Infine, nella lunetta superiore c’è lo scambio del calice, altro simbolo eucaristico.
Su tutto campeggiano le figure, una folla di persone che mentre fanno da contorno spiccano nell’insieme della composizione, quasi a porre l’accento il significato corale che ha il messaggio di Cristo e la sua applicazione da parte degli uomini. Sono figure che prorompono con forza, con impeto, col desiderio, diremmo, di farsi conoscere, di raccontare ciascuna una sua storia. E tute, benché non abbiano niente in sé di religioso in senso tradizionale, benché appaiano uguali a noi, alle persone che vediamo intorno a noi, tutte, dicevo, hanno una loro “sacralità”, sono degne dell’altare
La composizione è dunque unitaria anche in questo senso, per l’atmosfera naturale e sacra, insieme che vi si respira. Il colore contribuisce a infondere questo “tono” tutto particolare. Le gialle sfumature del pannello centrale vi danno il sapore del grano quand’è mature, con un potente richiamo alla terra, alla madre terra: così come il contrasto fra la camicia rossa quanto il sangue e il mantello bianco del Cristo suggeriscono, anche visivamente, la missione di sacrificio e di pace. Negli altri pannelli, infine, colori cupi o calmi pongono l’accento armoniosamente l’atteggiamento di donazione, di speranza, di dolore che le figure esprimono.
Insomma, Massimo Micheli ha compiuto un’opera che indubbiamente è destinata a lasciare il suo segno; e che si fa ammirare anche da chi non è interessato al fenomeno religioso, proprio come le opere più belle della tradizione sacra italiana.
13 giugno 1971 LA NAZIONENELLA CHIESA DEL SACRO CUORE BENEDIZIONE DEL POLITTICO
AVRA’ LUOGO STAMATTINA ALLE UNDICI DOPO LA MESSA CELEBRATA DA MONSIGNORE SIVIERI
L’OPERA DODICI METRI di SUPERFICIE, E’ DEL PITTORE MASSIMO MICHELI
Presentazione di Carlo Alberto Di Grazia
Nato a Viareggio, in terra versiliese, nel 1936, è considerato uno fra i più grandi affreschisti contemporanei e ha condotto degli studi interessanti sulla pittura a encausto, nei quali ha raggiunto validi risultati fin dal 1957.
Membro di diverse accademie, ha partecipato a mostre collettive nazionali e internazionali, vincendo numerosi premi. Ha tenuto mostre personali in Italia, che non solo hanno conseguito vasti consensi di pubblico, ma che hanno ottenuto lusinghieri apprezzamenti della critica. Sue opere in molte collezioni e in diverse chiese, mentre riproduzioni di esse figurano su diverse riviste e libri d’informazione artistica. Il pittore è certamente oggi nel pieno della sua maturità artistica, alla quale è giunto dopo sofferte esperienze, nella continua ricerca di rendere in forme espressive sempre nuove quel ricco mondo interiore che gli urge dentro.
I soggetti preferiti nei suoi lavori sono le figure umane: dai loro volti, e soprattutto dai loro occhi, traspare l’anima, come evocata per magico incanto. Ed è un’anima triste, rassegnata, si direbbe, di fronte al dramma della vita: ma al tempo stesso si avverte in quelle figure, anche in quelle di donna, un che di virile, di forte, che per contrasto è messo in luce dai colori tenui e dal disegno leggero. Cosicchè si ha la sensazione che si tratti di fantasmi uscenti da una nebbia di sogno: ma in quel momento stesso si ha anche la certezza della loro realtà. Il disegno e il colore mostrano nel Micheli un lungo, attento studio, dicono che non si è improvvisato pittore: dietro a ogni pennellata c’è una “cultura”. La scuola non soffoca mai l’arte, è anche anzi un docile strumento di cui il maestro si serve per trarre accordi meravigliosi. E non c’è bisogno di dire quanto difficilmente si realizzi una spontaneità come questa, sorretta, senz’essere soffocata dalla precisa padronanza di tecniche e di esperienze.
L’ultima opera di grande impegno e di ampio respiro compositivo è un polittico su tavola di 12 metri quadrati di superficie, che si trova nella chiesa del Sacro Cuore a Viareggio. Questa è un’opera sobria, ricca di umanità e di potenza, con la quale, se ha abbattuto i vecchi moduli di narrazione, se ha abbandonato la via del falso misticismo e della retorica, l’artista non è caduto nel pericolo di parlare un linguaggio incomprensibile e irritante o di battere una strada d’avanguardia stridente per i temi trattati. Micheli ha raggiunto un difficile equilibrio, cosicchè tutte le figure del polittico, benché non abbiano in sé niente di religioso in senso tradizionale, benché appaiano uguali a noi, alle persone che vediamo intorno a noi, tutte hanno una loro sacralità e sono veramente degne dell’altare.
Di Mario Pellegrini
Oggi nella chiesa del Sacro cuore, annessa all’omonima casa di riposo, sarà scoperto e benedetto un polittico di dodici metri quadrati di superficie, opera si Massimo Micheli sul tema dell’Eucarestia. Alle ore dieci, dopo che il priore della basilica di San Paolino monsignor Alfredo Sivieri avrà celebrato la messa, e il professor Carlo Alberto Di Grazia avrà presentato il dipinto agli intervenuti, tutti potranno ammirare questa bellissima e singolare composizione che propone in chiave moderna la grande funzione della pittura sacra, di quella pittura cioè che ha contribuito in maniera determinante alla stesura attraverso i secoli della storia dell’arte.
Un pannello centrale, due laterali e una lunetta, danno forma e consistenza a un lavoro che ha impegnato l’autore per oltre otto mesi, e che ora ha trovato la sua sistemazione definitiva nella cappella sinistra della chiesa di cui sopra, arricchendola così di un particolare che la renderà maggiormente vicina allo spirito dei viareggini e di quanti amano le cose belle, perché “L’Eucarestia” di Massimo Micheli è veramente un’opera pregevole, un dipinto destinato a far parlare di sé per la sua compiutezza e per la sua forza espressiva, sotto molti aspetti rivoluzionaria se rapportata alla tradizione della pittura sacra.
Indubbiamente ci troviamo di fronte a una composizione che meriterebbe un discorso alquanto lungo e approfondito, tanto è vero che ha già attirato l’attenzione del mondo artistico contemporaneo – com’è stato opportunamente rilevato nel biglietto d’invito – ma al di sopra e al di fuori do questa constatazione, che può anche essere di comodo, resta immutato il giudizio che l’ha già posta al vertice dell’attenzione dei critici, concordi nel definirla pienamente riuscita sul piano della percezione immediata.
Il tema universale dell’Eucarestia, infatti, è qui presentato in una dimensione che travalica il tempo, che supera il limite dei secoli, che induce alla riflessione attraverso un’esposizione piana e nello stesso istante, ricca di colori, dove il mantello bianco del Cristo, unico elemento di rottura rispetto alla folla circostante, fa da catarsi al movimento delle figure, che non sono simboliche, ma dal volto come gli uomini d’oggi, di tutte le epoche e di tutte le latitudini.
L’eterno presente del mistero eucaristico ha trovato in Massimo Micheli un artista capace di esprimerlo nella maniera più adatta alla vita che ci circonda, evitando qualsiasi riferimento retorico o vagamente agiografico, per restringere il tutto intorno alla distribuzione del pane, che in ogni luogo e in ogni epoca ha sempre contraddistinto l’elemento essenziale dell’esistenza, sia materiale spirituale.
Per questo, e non soltanto per questo, la ripresa del messaggio sacro nel campo dell’arte figurativa, non poteva non avere un ambasciatore più sicuro di Massimo Micheli, che torna così nella sua Viareggio con un’opera che farà testo, che indurrà più di un amatore a meditare sul significato del polittico di cui già tanto si parla negli ambienti artistici non soltanto della città. Sarà quindi un avvenimento e una data importante quella di oggi tredici giugno: un avvenimento e una data destinati a rimanere nella storia contemporanea di Viareggio, come un avvenimento e una data importanti furono quelli della fondazione dell’istituzione che ottobre scorso festeggiò il cinquantesimo anniversario di vita attiva e in continua espansione nel sentimento caritativo, ieri come oggi ben presente nell’animo dei viareggini.
Nato a Viareggio, in terra versiliese, nel 1936, è considerato uno fra i più grandi affreschisti contemporanei e ha condotto degli studi interessanti sulla pittura a encausto, nei quali ha raggiunto validi risultati fin dal 1957.
Membro di diverse accademie, ha partecipato a mostre collettive nazionali e internazionali, vincendo numerosi premi. Ha tenuto mostre personali in Italia, che non solo hanno conseguito vasti consensi di pubblico, ma che hanno ottenuto lusinghieri apprezzamenti della critica. Sue opere in molte collezioni e in diverse chiese, mentre riproduzioni di esse figurano su diverse riviste e libri d’informazione artistica. Il pittore è certamente oggi nel pieno della sua maturità artistica, alla quale è giunto dopo sofferte esperienze, nella continua ricerca di rendere in forme espressive sempre nuove quel ricco mondo interiore che gli urge dentro.
I soggetti preferiti nei suoi lavori sono le figure umane: dai loro volti, e soprattutto dai loro occhi, traspare l’anima, come evocata per magico incanto. Ed è un’anima triste, rassegnata, si direbbe, di fronte al dramma della vita: ma al tempo stesso si avverte in quelle figure, anche in quelle di donna, un che di virile, di forte, che per contrasto è messo in luce dai colori tenui e dal disegno leggero. Cosicchè si ha la sensazione che si tratti di fantasmi uscenti da una nebbia di sogno: ma in quel momento stesso si ha anche la certezza della loro realtà. Il disegno e il colore mostrano nel Micheli un lungo, attento studio, dicono che non si è improvvisato pittore: dietro a ogni pennellata c’è una “cultura”. La scuola non soffoca mai l’arte, è anche anzi un docile strumento di cui il maestro si serve per trarre accordi meravigliosi. E non c’è bisogno di dire quanto difficilmente si realizzi una spontaneità come questa, sorretta, senz’essere soffocata dalla precisa padronanza di tecniche e di esperienze.
L’ultima opera di grande impegno e di ampio respiro compositivo è un polittico su tavola di 12 metri quadrati di superficie, che si trova nella chiesa del Sacro Cuore a Viareggio. Questa è un’opera sobria, ricca di umanità e di potenza, con la quale, se ha abbattuto i vecchi moduli di narrazione, se ha abbandonato la via del falso misticismo e della retorica, l’artista non è caduto nel pericolo di parlare un linguaggio incomprensibile e irritante o di battere una strada d’avanguardia stridente per i temi trattati. Micheli ha raggiunto un difficile equilibrio, cosicchè tutte le figure del polittico, benché non abbiano in sé niente di religioso in senso tradizionale, benché appaiano uguali a noi, alle persone che vediamo intorno a noi, tutte hanno una loro sacralità e sono veramente degne dell’altare.
Di Mario Pellegrini
Oggi nella chiesa del Sacro cuore, annessa all’omonima casa di riposo, sarà scoperto e benedetto un polittico di dodici metri quadrati di superficie, opera si Massimo Micheli sul tema dell’Eucarestia. Alle ore dieci, dopo che il priore della basilica di San Paolino monsignor Alfredo Sivieri avrà celebrato la messa, e il professor Carlo Alberto Di Grazia avrà presentato il dipinto agli intervenuti, tutti potranno ammirare questa bellissima e singolare composizione che propone in chiave moderna la grande funzione della pittura sacra, di quella pittura cioè che ha contribuito in maniera determinante alla stesura attraverso i secoli della storia dell’arte.
Un pannello centrale, due laterali e una lunetta, danno forma e consistenza a un lavoro che ha impegnato l’autore per oltre otto mesi, e che ora ha trovato la sua sistemazione definitiva nella cappella sinistra della chiesa di cui sopra, arricchendola così di un particolare che la renderà maggiormente vicina allo spirito dei viareggini e di quanti amano le cose belle, perché “L’Eucarestia” di Massimo Micheli è veramente un’opera pregevole, un dipinto destinato a far parlare di sé per la sua compiutezza e per la sua forza espressiva, sotto molti aspetti rivoluzionaria se rapportata alla tradizione della pittura sacra.
Indubbiamente ci troviamo di fronte a una composizione che meriterebbe un discorso alquanto lungo e approfondito, tanto è vero che ha già attirato l’attenzione del mondo artistico contemporaneo – com’è stato opportunamente rilevato nel biglietto d’invito – ma al di sopra e al di fuori do questa constatazione, che può anche essere di comodo, resta immutato il giudizio che l’ha già posta al vertice dell’attenzione dei critici, concordi nel definirla pienamente riuscita sul piano della percezione immediata.
Il tema universale dell’Eucarestia, infatti, è qui presentato in una dimensione che travalica il tempo, che supera il limite dei secoli, che induce alla riflessione attraverso un’esposizione piana e nello stesso istante, ricca di colori, dove il mantello bianco del Cristo, unico elemento di rottura rispetto alla folla circostante, fa da catarsi al movimento delle figure, che non sono simboliche, ma dal volto come gli uomini d’oggi, di tutte le epoche e di tutte le latitudini.
L’eterno presente del mistero eucaristico ha trovato in Massimo Micheli un artista capace di esprimerlo nella maniera più adatta alla vita che ci circonda, evitando qualsiasi riferimento retorico o vagamente agiografico, per restringere il tutto intorno alla distribuzione del pane, che in ogni luogo e in ogni epoca ha sempre contraddistinto l’elemento essenziale dell’esistenza, sia materiale spirituale.
Per questo, e non soltanto per questo, la ripresa del messaggio sacro nel campo dell’arte figurativa, non poteva non avere un ambasciatore più sicuro di Massimo Micheli, che torna così nella sua Viareggio con un’opera che farà testo, che indurrà più di un amatore a meditare sul significato del polittico di cui già tanto si parla negli ambienti artistici non soltanto della città. Sarà quindi un avvenimento e una data importante quella di oggi tredici giugno: un avvenimento e una data destinati a rimanere nella storia contemporanea di Viareggio, come un avvenimento e una data importanti furono quelli della fondazione dell’istituzione che ottobre scorso festeggiò il cinquantesimo anniversario di vita attiva e in continua espansione nel sentimento caritativo, ieri come oggi ben presente nell’animo dei viareggini.
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EUCARESTIA - pannello centrale del polittico - tempera su tavola |
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1971/74 - DA SINISTRA RESURREZIONE DI LAZZARO, NEL CENTRO DEPOSIZIONE, A DESTRA MADDALENA - affreschi |
1) Nell’affresco di sinistra vediamo la RESURREZIONE di LAZZARO (Gv.11).
2) L’affresco centrale, domina l’atto supremo di amore di Gesù che si offre alla morte per i fratelli la DEPOSIZIONE.
3) Nell’affresco di destra è raffigurato Gesù che è invitato a cena in casa del fariseo Simone (Lc.7,36), ma ecco una donna di cattiva fama, la MADDALENA.
2) L’affresco centrale, domina l’atto supremo di amore di Gesù che si offre alla morte per i fratelli la DEPOSIZIONE.
3) Nell’affresco di destra è raffigurato Gesù che è invitato a cena in casa del fariseo Simone (Lc.7,36), ma ecco una donna di cattiva fama, la MADDALENA.
2009 Cristiana Vettori ricorda:
Don Giuseppe Boninsegna, allora Cappellano, volle fortemente le pitture nella “sua chiesa”: era pieno di entusiasmo, orgoglioso e partecipe, egli credeva che un artista moderno potesse rappresentare con un linguaggio attuale la storia di Cristo e rendere vivo il suo messaggio anche per i fedeli del ventesimo secolo.
Il desiderio di Don Giuseppe era di legare il suo nome a queste opere d’arte, perché in qualche modo restasse anche il suo ricordo e una traccia delle tante cure che dedicava al “Sacro Cuore” e agli ospiti dell’istituto, convinto com’era che l’arte fosse imperitura e che attraverso di essa passasse più facilmente il messaggio di Cristo. Tuttavia era molto dispiaciuto che alcuni fedeli vedessero nudo il Cristo morto nonostante fosse coperto da un perizoma.
Don Giuseppe ci ha lasciati da molti anni e adesso, come ben si può vedere, una scultura molto grossa è stata messa davanti all’affresco in modo da coprire completamente quel Gesù morto rappresentato in un ardito e splendido scorcio.
Don Giuseppe Boninsegna, allora Cappellano, volle fortemente le pitture nella “sua chiesa”: era pieno di entusiasmo, orgoglioso e partecipe, egli credeva che un artista moderno potesse rappresentare con un linguaggio attuale la storia di Cristo e rendere vivo il suo messaggio anche per i fedeli del ventesimo secolo.
Il desiderio di Don Giuseppe era di legare il suo nome a queste opere d’arte, perché in qualche modo restasse anche il suo ricordo e una traccia delle tante cure che dedicava al “Sacro Cuore” e agli ospiti dell’istituto, convinto com’era che l’arte fosse imperitura e che attraverso di essa passasse più facilmente il messaggio di Cristo. Tuttavia era molto dispiaciuto che alcuni fedeli vedessero nudo il Cristo morto nonostante fosse coperto da un perizoma.
Don Giuseppe ci ha lasciati da molti anni e adesso, come ben si può vedere, una scultura molto grossa è stata messa davanti all’affresco in modo da coprire completamente quel Gesù morto rappresentato in un ardito e splendido scorcio.
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1974 - LUNETTA PRESBITERIALE A SINISTRA- GESU E GIOVANNI - affresco |
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1974 - LUNETTA PRESBITERIALE A DESTRA - BACIO DI GIUDA - affresco |
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1975 - VIA CRUCIS - 14 TEGOLI TOSCANI AFFRESCATI |
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1975 - VIA CRUCIS - 14 TEGOLI TOSCANI AFFRESCATI |
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1975 - VIA CRUCIS - 14 TEGOLI TOSCANI AFFRESCATI |
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1975 - VIA CRUCIS - 14 TEGOLI TOSCANI AFFRESCATI |
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1975 - VIA CRUCIS - 14 TEGOLI TOSCANI AFFRESCATI |
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1975 - VIA CRUCIS - 14 TEGOLI TOSCANI AFFRESCATI |
VIA CRUCIS
Sulla parete perimetrale destra sono collocati quattordici tegoli toscani affrescati.
Su questi “cotti toscani”, coperti di calce fresca, Massimo Micheli ha liberato la sua mente di pittore e credente restituendo nelle immagini della Via Crucis, la storia di un uomo, tutto uomo e Dio, pienamente Dio, che dagli uomini suoi fratelli, per invidia, arrivismo, intrighi politici e paura di quella verità che fa l’uomo libero, è stato inchiodato sulla croce dopo un processo iniquo e sevizie indicibili. Il Cristo accetta la condanna, mostrando nella severità del volto, la sua innocenza e, nella serenità, la consapevolezza di morire per una grande causa (1° affresco). Poi la natura umana ha il sopravvento e, tre volte cade sotto la pena del corpo martoriato, dissanguato, e il peso del grosso legno. La divinità non gli risparmia il morso del dolore e cade a terra, addirittura è un rotolare, un confondersi con il suolo. Accetta la consolazione della Madre, delle Donne, del Cireneo, ma consola lui pure; più da un cielo crepuscolare che si dipinge di giallo, che dal suo corpo ormai inesistente, e regala l’immagine del suo volto a una di loro, che aveva posato un lino su quel viso pieno di grumi di sangue rappreso, per rinfrescarlo. Alla decima stazione il visitatore percepisce tutta la sofferenza, l’umiliazione, il pudore e l’interna disarmata ribellione del Cristo denudato. Il nascere nudo non è vergogna perché è natura; ma morire nudo e segno di grande fallimento e fa dell’uomo men che un animale. Micheli l’ha espresso in maniera superlativa nel volto fortemente tirato, in un raggio di luce che colpisce il dorso mentre lentamente si scopre, nella profonda severità delle orbite rivolte verso chi tanto sta osando sul corpo innocente e puro di Dio fatto uomo. Altri due momenti dell’iniqua tragedia sono espressi mirabilmente dal colore, dall’atteggiamento, dalla potenza della linea: la Mano, il Volto. La Mano, la mano sola, inchiodata; la grande Mano del Cristo, la mano di tutti gli uomini sofferenti, inchiodati a un letto, mani inchiodate anche oggi per il patibolo! Il Volto di Cristo! E’ il volto di un uomo non solo in preda ai lancinanti dolori di una morte per dissanguamento lentissimo, com’era quello dei crocifissi, ma di un uomo Dio che si sente abbandonato dal Padre i in balia della malvagità dell’uomo-peccato. Il colore dell’affresco esprime il buio del peccato, della morte, che s’impossessa del Cristo e nella bocca che si apre a un grido di estremo aiuto, a un grido quasi disumano, l’invocazione della presenza consolatrice del Padre: “Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato” (Mt.27,45) oppure, come aggiunge Luca (23,46) “Gesù gridando a gran voce disse: Nelle tue mani raccomando lo spirito mio”. Poi il silenzio della sera si appressa, avvolgendo uomini e cose nell’infuocato precipitoso tramonto palestinese, che costringe il sepolcro scavato nella vicina roccia, a inghiottire i resti mortali del misfatto degli uomini. Quando Micheli rapisce i sentimenti, quando sa trovare la strada verso la parte più profonda di noi e sa parlare con ognuno di noi un linguaggio che è universale e quindi comprensibile per tutti, al di là della differente cultura, della differente personalità, del differente carattere che abbiamo, l’artista va oltre qualsiasi tempo determinato e ci conduce alla ricerca di una realtà assoluta identificata nei motivi della fede. Queste opere sacre ci propongono, in un linguaggio del nostro tempo, il mistero di Cristo attraverso la manifestazione definito in un incontro di sacralità e astrazione espresso per mezzo di linee decise e di toni cromatici ponderati. I verdi i grigi modulati, i guizzi gialli e dei rossi, ora si liberano ora si sovrappongono nelle velature magistralmente fresche rendendo tutti partecipi alla seria ricerca pittorica di Micheli. Queste opere sono indubbiamente destinate a lasciare il loro segno e si fanno ammirare proprio come opere più belle della tradizione sacra dell’arte italiana.Di Cristiana Vettori
Su questi “cotti toscani”, coperti di calce fresca, Massimo Micheli ha liberato la sua mente di pittore e credente restituendo nelle immagini della Via Crucis, la storia di un uomo, tutto uomo e Dio, pienamente Dio, che dagli uomini suoi fratelli, per invidia, arrivismo, intrighi politici e paura di quella verità che fa l’uomo libero, è stato inchiodato sulla croce dopo un processo iniquo e sevizie indicibili. Il Cristo accetta la condanna, mostrando nella severità del volto, la sua innocenza e, nella serenità, la consapevolezza di morire per una grande causa (1° affresco). Poi la natura umana ha il sopravvento e, tre volte cade sotto la pena del corpo martoriato, dissanguato, e il peso del grosso legno. La divinità non gli risparmia il morso del dolore e cade a terra, addirittura è un rotolare, un confondersi con il suolo. Accetta la consolazione della Madre, delle Donne, del Cireneo, ma consola lui pure; più da un cielo crepuscolare che si dipinge di giallo, che dal suo corpo ormai inesistente, e regala l’immagine del suo volto a una di loro, che aveva posato un lino su quel viso pieno di grumi di sangue rappreso, per rinfrescarlo. Alla decima stazione il visitatore percepisce tutta la sofferenza, l’umiliazione, il pudore e l’interna disarmata ribellione del Cristo denudato. Il nascere nudo non è vergogna perché è natura; ma morire nudo e segno di grande fallimento e fa dell’uomo men che un animale. Micheli l’ha espresso in maniera superlativa nel volto fortemente tirato, in un raggio di luce che colpisce il dorso mentre lentamente si scopre, nella profonda severità delle orbite rivolte verso chi tanto sta osando sul corpo innocente e puro di Dio fatto uomo. Altri due momenti dell’iniqua tragedia sono espressi mirabilmente dal colore, dall’atteggiamento, dalla potenza della linea: la Mano, il Volto. La Mano, la mano sola, inchiodata; la grande Mano del Cristo, la mano di tutti gli uomini sofferenti, inchiodati a un letto, mani inchiodate anche oggi per il patibolo! Il Volto di Cristo! E’ il volto di un uomo non solo in preda ai lancinanti dolori di una morte per dissanguamento lentissimo, com’era quello dei crocifissi, ma di un uomo Dio che si sente abbandonato dal Padre i in balia della malvagità dell’uomo-peccato. Il colore dell’affresco esprime il buio del peccato, della morte, che s’impossessa del Cristo e nella bocca che si apre a un grido di estremo aiuto, a un grido quasi disumano, l’invocazione della presenza consolatrice del Padre: “Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato” (Mt.27,45) oppure, come aggiunge Luca (23,46) “Gesù gridando a gran voce disse: Nelle tue mani raccomando lo spirito mio”. Poi il silenzio della sera si appressa, avvolgendo uomini e cose nell’infuocato precipitoso tramonto palestinese, che costringe il sepolcro scavato nella vicina roccia, a inghiottire i resti mortali del misfatto degli uomini. Quando Micheli rapisce i sentimenti, quando sa trovare la strada verso la parte più profonda di noi e sa parlare con ognuno di noi un linguaggio che è universale e quindi comprensibile per tutti, al di là della differente cultura, della differente personalità, del differente carattere che abbiamo, l’artista va oltre qualsiasi tempo determinato e ci conduce alla ricerca di una realtà assoluta identificata nei motivi della fede. Queste opere sacre ci propongono, in un linguaggio del nostro tempo, il mistero di Cristo attraverso la manifestazione definito in un incontro di sacralità e astrazione espresso per mezzo di linee decise e di toni cromatici ponderati. I verdi i grigi modulati, i guizzi gialli e dei rossi, ora si liberano ora si sovrappongono nelle velature magistralmente fresche rendendo tutti partecipi alla seria ricerca pittorica di Micheli. Queste opere sono indubbiamente destinate a lasciare il loro segno e si fanno ammirare proprio come opere più belle della tradizione sacra dell’arte italiana.Di Cristiana Vettori
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