1963 DICEMBRE - IL CURATINO

1963 DICEMBRE - IL CURATINO



3 gennaio 1963 LA NAZIONE


NOTE D’ARTE

UN’OPERA CHE BISOGNA AMMIRARE IL”CURATINO” di MASSIMO MICHELI

Ben si sa che quando era ignota la scrittura alla massima parte degli uomini, la pittura aveva il primo posto, per la sua immediatezza, nell’educazione religiosa e culturale dentro e fuori le Chiese nel Medio Evo. Ce né da una prova sicura il nostro concittadino pittore Massimo Micheli con la sua pala d’altare in cui ha riprodotto un episodio significativo della vita del Beato Antonio M. Pucci. Per chi non ne conoscesse la biografia, per i non nati a Viareggio e che
hanno ormai preso qui residenza, dopo la morte del Curatino, il grandioso quadro di Micheli dice eloquentemente di quale carità cristiana sia stato pervaso il novello Santo. E mentre a Roma era elevato agli onori degli altari, qui da noi con alto spirito di amore per le creature del luogo natio, Micheli onorava degli altari dell’arte questo suo concittadino canonizzato, in modo magistrale, che ci richiama ai bei tempi, in cui le opere migliori erano destinate alle chiese, ai sublimi musei del popolo religioso, perché la Chiesa è una conservatrice grande anche da questo lato. 
Tre sono le figure che si stagliano nell’ampia tavola: accosciata al suolo una donna con volto estatico, elevato ad ammirare il gesto del Santo Curato. Così raccolta, che dal fango si eleva alla santità della luce, così unita e nello stesso tempo così riprodotta a linea spezzata, in un simbolismo di “nidificatrice e conservatrice della vita” è di una rara potenza, e tale da testimoniare di quali mezzi tecnici disponga il pittore viareggino nella sua arte. Dietro questa figura, come sopra un basamento umano, emergono ritte e quasi a pari altezze il Santo che stende sulle spalle di un “derelitto” il mantello della carità. Il curato santo dunque “vestiva i nudi”: il curato di Viareggio dunque esercitava le sette opere di misericordia. Il nostro Santo Concittadino è giustamente degno di trovar luogo dentro la bella chiesa della Misericordia, da poco ripristinata, nella sua mistica austerità, nelle sue sobrie ed eleganti linee e strutture.
E chi ha commissionato l’opera, si è elevato un monumento spirituale, che sarà fiorito sempre della riconoscenza nostra per il bel dono elargito a noi e alla Chiesetta di piazza Nieri. Massimo Micheli, per la sua opera magistralmente scandita di tonalità per quel suo Curatino che si stempera in luce d’amore, sino quasi a sparire come personalità, affinchè diventi anonima ”la carità stessa” si rivela un pensatore, un creatore di rara potenza. Il Santo non ha l’aureola, perché in vita aureola non volle mai: ma in cambio quel suo capo è tutta una luce, una perlacea evanescenza, un’assunzione paradisiaca.
Così Micheli volle crearlo: e la sua intuizione si è mutata in espressione sicura e vitale, perché è un vero pittore. La figura vigorosa ma statica e rassegnata del “derelitto” con quel braccio eloquentemente rilassato lungo il fianco, con l’atteggiamento dimesso e vinto, con quella successione di graduati e intercalati rossi spenti della camicia si stacca a sé dal nero saio del Santo: ne deriva una figura maschia, sbozzata con vigoria artistica insolita. “Derelitto e Santo” sono fusi nell’episodio di quella umana e divina “Charitas Christi” nella dualità di chi dona e di chi riceve: e in modo speciale in quel sorriso di fiducia che già spunta nella pupilla del popolano beneficato.
La donna giù ai piedi dei due, diciamo ancora una volta, è di rara grandezza proprio perché così dimessa e stesa al suolo.
Micheli Massimo pio non ha cercato con sfondi troppo voluti o troppo lavorati, di distogliere l’interesse spirituale che il gruppo dei “Tre” emana.
Micheli è un essere silenzioso introspettivo, introflesso: è povero di chiacchiere ma ricco, dovizioso di note coloristiche.

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